Ritorno a casa dal ridere

La mattina do sempre un’occhiata al Corriere. Tra i giornali on-line aveva la grafica che preferivo, è cambiata da poco e tra poco cambierò anch’io. Qualche mese fa ho letto della morte di Luigi Meneghello.
Il nome mi diceva poco, forse era uno nella lista che la mia prof di italiano aveva distribuito a metà anno della maturità. Una di quelle liste impossibili con un centinaio di libri da leggere e poco tempo.
E Luigi Meneghello, per me, è restato lì, su quella lista.
Poi sono tornato in Italia a far le ferie e in un libreria mi è capitato sotto le mani Libera nos a malo, mi sono ricordato dell’articolo e l’ho aggiunto alla spesa.
Ieri sera l’ho finito. Mi mancavano un paio di capitoli da una settimana e volevo tiralo per le lunghe. Raramente mi capita di non voler finire un libro, perché è troppo bello e non voglio lasciarlo. L’ultima volta dev’essermi successo con il Viaggio di Celine.
Giusto per dirvi quanto mi è piaciuto, adesso il capolavoro francese a paragone mi sembra quasi uno sterile esercizio di punteggiatura.
Se siete nati in una grande città e non parlate nessun dialetto, non provate neppure a leggerlo. Questo libro viene da un posto dove “l’italiano è una lingua solamente scritta”.
Da dove vengo io la lingua italiana è qualcosa che appartiene alle scuole e alle poste. Probabilmente per molti non è più così, per tutti gli altri leggere questo libro sarà profondo come un’autoanalisi e divertente come una serata tra amici.
Mi sono sorpreso a ridere “a voce alta” almeno una pagina sì e una pagina no, ho rivisto persone e cose come se fossero le mie: sono tornato a casa.

16 pensieri riguardo “Ritorno a casa dal ridere

  1. Ciao Sgrigna, l’ho messo nella lista dei libri da comprare a metà prezzo alla fiera del libro di Francoforte. Spero che ci sia. Andremo domenica.
    Io sono nato in un paesino collinare della Sabina. Nei primi anni di infanzia non parlavo il dialetto ed ero considerato un diverso o “romano”. Il mio desiderio di integrazione mi spinse ad esprimermi in dialetto a partire dalla prima elementare. Per anni ho quindi mantenuto un bilinguismo dialettale: pesudo italiano/romano in famiglia e dialetto sabino al di fuori. Mi divertiva molto usare anche termini dialettali ormai desueti usati ormani solo dalla generazione dei miei nonni.

    Tu da dove provieni?

  2. La zona sì, visto lo scambio sulla faccenda del nick in passato… ma proprio delle valli? Sgrigna, ti prego, dimmi che non giri con zoccoli, pantalone a mezzo polpaccio e gilet di pelliccetta di agnello…
    😀

    p.s. che fine ha fatto la fu? mi manca…

  3. Pota certo!
    Pellicceta d’agnello? Ma per chi mi hai preso per un pastore del presepio? 🙂
    Da noi ci sono (c’erano) quasi solo mucche. Ovviamente di razza brunoalpina. La mia tenuta tipica e’ zoccoli fatti a mano (vedi film di Olmi, che pero’ e’ girato nel dialetto della bassa), pantaloni di velluto coste con “coder” e giacca di lana grossa.

  4. Grande Sgrigna! Ma non è scomoda in metropolitana? 😉

    Isa, se vuoi udire una sequenza impressionante di H aspirate e termini incomprensibili prova il bergamasco delle valli!
    Io ormai dopo 15 anni di vita con un bergamasco arrivo ad capire o intuire quello fino alla collina … ma oltre è fuori dalle mie possibilità!!

  5. La mucca? Eh parecchio, ma ci sono affezionato ormai. Poi adesso hanno tolto gli ingressi a girello nelle entrate del metro. Le davano parecchio noia, si incastrava e tutte le volte mi interveniva la Protezione Animali con delle balle di fieno d’emergenza, un casino! Con le nuove porte scorrevoli la si porta a spasso come un cagnolino.

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