W le donne

Oggi al lavoro mi hanno regalato una rosellina per la festa della donna. Che non è una cosa così incredibile, se non fosse che in Germania, di solito, non ci fa caso nessuno. Così me ne sono tornata nel mio ufficio con il naso affondato nella rosellina e mi è venuto in mente un 8 marzo di tanti tanti anni fa (quanti!) in cui il prof di Fisica II aprì la lezione presentando il lucido (il lucido, sì, come dicevo sono passati parecchi anni…) di una mimosa.
Non ho lucidi né mimose (qui la mimosa è il simbolo dei permalosi, tra l’altro), ma ho un test, che mi ha appena comunicato che sono una donna. Al 25%. E poi mi ha chiesto se sono un ingegnere 😎 Carino. Fatelo. Poi mi dite.

Stavo dicendo?

Ma che bello, siete ancora qui. Ci sono anch’io, anche se faccio finta di nulla. Temi ce ne sarebbero, eh, la scena politica tedesca offre spettacoli raccapriccianti, Grazia (il settimanale) è arrivato anche in Germania, poi ci sarebbero i cambiamenti climatici, la morsa del freddo appena passata (ciao freccia); dal punto di vista personale, vediamo… ci sarebbero i primi bilanci dopo aver cambiato radicalmente mansioni all’interno della Grande Ditta nel novembre scorso ed essermi lasciata alle spalle un vespaio incredibile – ecco, solo con gli ultimi dodici mesi ci si potrebbe fare su una telenovela.
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avrei anche un blog o due

Alla Grande Ditta stanno scoprendo il web 2.0 – meno male che l’hanno scoperto prima che diventasse un reperto archeologico, vabbè. Improvvisamente è tutto un Twitter, i blog spuntano come funghi (qualcuno non ha ancora capito come funzionano e li chiama “forum”), le wiki non si contano più. Un giovane collega, in un gruppo di più o meno quarantenni convinto di essere l’unico vero detentore di idee innovative, ci chiede con tenera ed ingenua arroganza se qualcuno di noi abbia un blog privato. Sorrido. Ora potrei dire: io ne avrei uno, anzi, due. Poi ho anche un tumblr. Avevo. Ho?
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Enrica contro la criptobiosi

Inutile dirvi che sono un po’ in letargo. Pare siano state delle massicce dosi di brasato con porcini e taragna, ma fatto sta che sto facendo la fine delle scimmie di mare in criptobiosi.
Nell’ovattato fondo nero della quiescenza è arrivata una vocina da qui.
Una delle blogger che seguo con maggior interesse anche per il suo blog su Tucci. Che è tipo il Led Zeppelin degli studi orientali. Cioè non che prima non ci fosse nessuno, ma dopo di lui la musica è cambiata.
Per ora ringrazio e continuo la mia lotta contro la criptobiosi (ma come mi piace ‘sta parola).

[rapido update su bestioline criptobiotiche: ci sono pure quelle spaziali: i tardigradi, che nome nobile !]

Nero

Chiuso tutto. Quattro valigie, tre scatole di cartone e cinque anni d’America.
Un viaggio sola andata Dallas Zurigo.
Appena ne ho avuto la possibilità son tornato in Italia per passare un fine settimana con la mia famiglia.
Ho preso il treno, seduti vicino a me c’erano due somali.
Abbiamo chiacchierato un po’.
A Chiasso, al confine, il treno si è fermato. E’ salita la polizia, prima quella svizzera. Mi hanno chiesto i documenti. E poi mi hanno fatto vuotare la borsa che avevo con me.
C’erano parecchi libri e hanno preteso che li sfogliassi tutti uno ad uno.
Poi è arrivata quella italiana. Mi hanno chiesto di riaprire la borsa e hanno controllato ogni singola tasca, poi ancora i libri e poi i documenti.
Quando se ne sono andati, ho guardato i due somali e sorridendo gli ho detto se sembravo così tanto un terrorista.
Uno dei due si è girato verso di me, e sempre sorridendo, mi ha risposto: – ti e’ andata ancora bene, almeno non sei nero.

Bravi ragazzi e mele marce

Si parlava nel post precedente di good guys, bad guys.
Gli americani sono abituati a dividere il mondo in buoni e cattivi. Un po’ come quando la maestra usciva dalle classe e chiedeva a qualcuno di scrivere alla lavagna i nomi di chi si comportava bene e chi si comportava male in sua assenza. Quella linea bianca sulla lavagna è tracciata ben chiara nella mentalità degli americani. Altrettanto chiaro è dove stanno loro. Stanno di qua,  dalla parte giusta, quella dei good guys.
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Il maiale dei Pink Floyd ha votato Obama e poi è volato via

Sono stato a vedere Roger Waters. In questo tour sta facendo tutto The Dark Side of The Moon.
E non solo: parecchi pezzi di The Wall, Whis you Were Here, ma  anche Set of the Control for the Heart of the Sun -non avrei mai pensato di avere la grazia di sentirla live.
La caratteristica del concerto –a parte me in estasi come in un orgasmo suino– sono stati i riferimenti politici. Tre momenti si sono distinti tra gli altri.
Durante The Fletcher memorial home sullo schermo dietro il palco sono apparsi ritratti di dittatori con delle frasi famose. Tra Stalin e Pol-Pot è apparso Bush e la sua frase: “I just want you to know that, when we talk about war, we’re really talking about peace”. Quello che era seduto vicino a me non è riuscito a trattenersi dal protestare in direzione del palco alzando il medio. Per venire a Dallas a far passare la foto di Bush vicino a quella di Stalin (la foto di Pol Pot sara’ stata scambiata per il tipo che gestisce il dry cleaner all’angolo) ci voglioni i cojones. Tanto di cappello.
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