Die Posse der Genossen

C’era una volta un SPD con Schröder (il “Genosse der Bosse”, il compagno dei boss intesi come capitani d’industria) che governava con piglio quasi neoliberale la Germania del dopo Kohl. Schröder non è più cancelliere, i verdi sono spariti alla ricerca di un nuovo logo, ora c’è Angie, alla guida di una grande coalizione, quella fra CDU ed SPD, contraddistinta dall’assoluta mancanza di idee, a parte quella di alzare le tasse. È sparito anche Müntefering, che si è dimesso dal governo per essere vicino alla moglie seriamente malata ed ora Angie deve vedersela con un SPD che, nel tentativo di rimescolare gli equilibri politici e darsi un profilo, si lancia alla riscoperta del socialismo.

È uno spettacolo (una Posse, appunto) obbrobrioso, il cui protagonista è Kurt Beck che, finalmente liberatosi di Müntefering, ci offre un paio di assaggini di delirio populista: qualche settimana fa ci ha martoriati con l’auspicata introduzione del salario minimo per i postini e con il prolungamento del pagamento del sussidio di disoccupazione per i disoccupati più anziani (facendo retromarcia su una delle poche riforme del governo precedente), ma è di ieri la proposta più aberrante: un disegno di legge per impedire il pagamento di buoneuscite milionarie ai manager di imprese private, una proposta inutile e populista, che fa leva sulla Schadenfreude del popolino ed ha come unico fine distrarre potenziali elettori dall’agghiacciante spettacolo di una classe politica alla deriva.

Beowulf

Lo scorso fine settimana ho visto il nuovo film di Robert Zemeckis: Beowulf, tratto dall’omonimo ciclo epico all’origine della letteratura inglese.
È girato con una tecnica chiamata “motion capture” che trasforma tutto in una specie di videogioco cartonanimatizzato. Niente da dire sul film: castelli, ancelle in pericolo, draghi cattivi e robe così.
Un film come un altro, se non fosse che ci siete letteralmente seduti dentro.
Avete presente il 3D con gli occhialini di carta e lenti d’acetato rosse e verde, tipo caramelle Rossana?
Il principio è quello, ma questa volta il risultato è -vai di avverbio, ma quando ce vo ce vo- assolutamente mozzafiato.
Il salto della tecnologia cinematografica è paragonabile solamente al passaggio dal muto al sonoro.
Ci sarebbero molte cose da dire: il cast stellare, reso inutile dalla cartoanimatizzazione; il movimento delle telecamere e la percezione che ormai abbiamo dello spazio dovuta ai video giochi; la trasposizione del poema eccetera eccetera.
Ma una sola da fare: andare a vederlo in 3D, qui le sale.
Dimenticavo, state attenti ai colpi di lancia.

Der Adventskalender

Adventskalender
Una delle tradizioni che più mi piacciono del Natale tedesco è quella dell’Adventskalender: un calendario oggi standardizzato a 24 caselle che accompagnano i giorni dell’Avvento fino a Natale.
L’usanza risale al XIX. secolo, quando la celebrazione del Natale entrò nei salotti borghesi: le famiglie credenti appendevano al muro un’immagine per ogni giorno dell’avvento, un modo per solennizzare l’attesa dell’arrivo del Natale e renderla tangibile anche per i bambini. Un’altra usanza legata alla celebrazione dell’attesa è in Germania quella dell’Adventskranz, la corona dell’Avvento, una corona di rametti d’abete intrecciati con quattro candele che vengono accese una ad una nelle quattro domeniche dell’Avvento, a celebrare la venuta di Cristo alla fine dei tempi, la preparazione all’arrivo del Salvatore, San Giovanni Battista e la Vergine Maria.

In passato e talvolta ancora oggi le mamme tedesche preparavano un calendario dell’avvento da mangiare, più spesso si ricorre ad un calendario di produzione industriale: si dice che l’idea di fare un calendario stampato per l’Avvento l’abbia avuta un certo Gerhard Lang, che nel 1908 commercializzò il primo calendario dell’Avvento “industriale” con 24 immagini da ritagliare ed incollare su un pannello con 24 apposite caselle. Negli anni Venti fecero la loro comparsa i primi calendari con porticine da aprire. La produzione fu interrotta durante la seconda guerra mondiale; nel ’58 alla carta si aggiunse la cioccolata.

[L’immagine riportata è di un calendario dell’Avvento in vendita su Adventskalender.net]

Si parla di anni ottanta

O meglio, ne parla un blog, nato a settembre, dal titolo-programma: “Ualbòis! Ualbòis! Ualbòis!” e a me, specialmente quando leggo i pezzi di Giulia (di cui adoro il modo di scrivere), vengono i lucciconi. Giulia descrive gli anni ottanta da una prospettiva diametralmente opposta alla mia ed i nostri ricordi sono sfasati di un paio d’anni (mi sa che io sono più vecchia), però l’atmosfera è quella, la musica è quella e le adolescenze, per quanto diverse, sono sempre adolescenze.

È tutto da leggere, per chi gli anni ottanta li ha nei ricordi, ma anche per tutti coloro che erano troppo piccoli per averne nostalgia; c’è tutto: l’abbigliamento, le acconciature, la musica, la politica, le cassette! Sembra ieri, eppure, a rileggere questi struggenti amarcord, ci si rivede in super 8.

Non so se Giulia ed io avremmo fatto amicizia se ci fossimo incontrate allora, io ero una specie di paninara anomala (nel senso che indossavo la divisa d’ordinanza, ma impazzivo per gli Ultravox ed i Simple Minds) e lei non è tenera nei confronti della categoria, per me gli anni ottanta sono stati meravigliosi anche con tutte le problematiche adolescenziali, mentre per lei, a quanto pare, meno. Comunque sia, le sono grata per questo affascinante viaggio indietro nel tempo.

Come sei diventato un blogger?

Chi mi conosce sa che meme e cordate varie non fanno per me, lui mi conosce da poco e, temerario, mi ha nominata. Non mi sottraggo come ho invece fatto altre volte, perché tutto sommato l’argomento non mi dispiace e poi ho voglia di chiacchierare; non passo la palla ad altri, perché non è nelle mie corde.

Chi o cosa ti ha spinto a creare un blog?

Galeotta fu la Viscontessa, credo di averlo già scritto, che a suo tempo mi trascinò nel vortice di OCE, allora una comunità molto vivace e decisamente atipica. Per motivi ormai obsoleti mi trovai ad inventarmi un nuovo nick su due piedi, mi venne in mente il nome che anni prima avevo dato alla mia vespa, Isadora. Non particolarmente originale, come scoprii in seguito, ma per un rebranding, ormai, è un po’ tardi. Un commento, due, l’accesso come autrice su OCE: il blog, che prima mi era parso un passatempo un po’ stupido per adolescenti rincoglioniti, diventò in poco tempo un’occupazione fissa, tanto da spingermi a desiderarne uno tutto mio. Detto, fatto: nacque la prima versione di “…a casa di Isa” su un server del caro Fabbrone, poi trasferito qui per motivi di comodità (il blog, non Fabbrone).

Ormai sono passati due anni e, anche se nel frattempo ne sono successe di tutti i colori e non sempre ho il tempo che vorrei per dedicarmici, non riesco ad immaginare di abbandonare, anzi: da poco ho deciso di aprire uno spazio strettamente dedicato alla piattaforma che mi ospita, un po’ per rispondere a quesiti che mi venivano posti da più parti, un po’ per avere un raccoglitore per tutte quelle informazioni utili anche a me che altrimenti sarebbero irrimediabilmente andate perse. È un’esperienza interessante, c’è meno dialogo che qui (anche meno traffico), il pubblico è molto più eterogeneo ed io imparo un sacco di cose e dò una bella spolveratina al mio italiano “tecnico” (che è in uno stato pietoso). Sono diventata blogger per divertimento, per passione, anche un po’ per lavoro, nel senso che il blog mi aiuta a rimanere al passo con tecnologie che al momento in ambiente lavorativo non vengono sfruttate e, non da ultimo, per mantenere un contatto con il mio paese d’origine, molto più intenso di quello che potrei avere solo con qualche visita di pochi giorni all’anno.

Il tuo primo post?

Su OCE, ancora oggi uno dei post che ritengo meglio riusciti, su uno dei miei temi preferiti, la commistione fra scienza ed arte. Il titolo, come non detto: “È arte?“.

Il post di cui ti vergogni di più?

Io ho la faccia come il c, non mi vergogno praticamente mai.

Il post di cui sei più fiero?

Be’, i post sono come i figli, ogni scarrafone… a tutt’oggi i miei preferiti però si trovano tra le pieghe degli archivi e risalgono al periodo ociano. Uno molto carino, scritto dopo una sonora arrabbiatura a causa di una discussione che esula dal tema di questo post, e che sortì un effetto tutto diverso dal previsto, è “La calza smagliata“, ma ne avrei una lista lunga un chilometro.

IL TRIANGOLO NERO: nessun popolo è illegale

Succede che e’ piu’ facile agitare uno spauracchio collettivo (oggi i rumeni, ieri i musulmani, prima ancora gli albanesi) piuttosto che impegnarsi nelle vere cause del panico e dell’insicurezza sociali causati dai processi di globalizzazione.
Succede che e’ piu’ facile, e paga prima e meglio sul piano del consenso viscerale, gridare al lupo e chiedere espulsioni, piuttosto che attuare le direttive europee (come la 43/2000) sul diritto all’assistenza sanitaria, al lavoro e all’alloggio dei migranti; che e’ piu’ facile mandare le ruspe a privare esseri umani delle proprie misere case, piuttosto che andare nei luoghi di lavoro a combattere il lavoro nero.
Succede che sotto il tappeto dell’equazione rumeni-delinquenza si nasconde la polvere dello sfruttamento feroce del popolo rumeno.

Questo è un estratto dal testo di una petizione, il triangolo nero, che condivido e che vi invito a leggere qui, dove potete anche aderire e firmare.

-38

Parlare di Natale a metà Novembre mi fa venire la pelle d’oca, ma alla prima spolverata di neve di questi giorni ed alle vetrine luccicanti dei negozî si è aggiunto oggi l’indizio più pesante e (da me) temuto: la famigerata lista dei regali per i parenti di mio marito.

Questo piccolo atto di terrorismo familiare è stato introdotto anni fa dalla mia ormai nota suocera, probabilmente in seguito ad un mio commento piuttosto piccato di fronte all’ennesimo orripilante regalo da parte di mia cognata. Il commento era stato piazzato intenzionalmente nella speranza di piantare nel fertilissimo cervello della suocera il seme del dubbio sul senso dei regali obbligati di Natale fra persone adulte; il risultato è stato uno degli autogol più sonori del secolo: la nascita della lista dei regali di Natale.
Continua a leggere “-38”

Ognuno è straniero, da qualche parte

Io lo sono, tutti i giorni da parecchi anni, nel paese in cui vivo. Sono tante le cose a ricordarmelo, a partire dallo specchio, ma anche questo stesso blog.

Ricordo bene la fatica, all’inizio, quando praticamente non parlavo il tedesco: improvvisamente le cose più banali, come leggere un giornale, fare la spesa, guardare la tv, fare una battuta, ordinare qualcosa al ristorante, persino comprare le sigarette erano diventate difficoltose, complicate, talvolta impossibili. Mi sembrava di vivere in una bolla di sapone, trasparente, sottilissima, ma sempre interposta fra me e tutto ciò che mi circondava. C’è voluto quasi un anno d’impegno costante per riuscire a padroneggiare la lingua in modo da poter condurre una telefonata senza grossi problemi, ci sono voluti altri anni per imparare ad esprimermi ad un livello simile a quello in cui mi esprimo nella mia lingua madre, per imparare a scrivere decentemente, io, che ho sempre amato la parola scritta più di ogni altra cosa.
La barriera linguistica è quella più ardua da superare, quando ci si trova in un paese straniero, ma anche la più importante. Le altre barriere, quelle culturali, religiose o che so io, crollano nel momento in cui si è in grado di farsi comprendere, o almeno questa è la mia esperienza. Una volta superata la barriera della comunicazione, parte la fase più divertente ed emozionante della scoperta del mondo che si ha intorno e della sua conquista.

Qui in Germania ho trovato un terreno fertile per le mie escursioni: i tedeschi, superata la prima timidezza, sono interlocutori attenti e curiosi, ma altrettanto disponibili a rispondere alle domande e ad insegnare, sono diretti e sinceri, in un modo che, in Italia, rasenta la maleducazione. Però, sincerità o maleducazione che dir si voglia, a me, in dodici anni buoni di vita da straniera in Germania, non è mai capitato di sentirmi dire porcherie di questo genere, né di leggerne travestite da articolo su un quotidiano “serio” come dovrebbe essere il Corriere della Sera.

Continuiamo a riflettere

Io mi rendo conto che negli ultimi tempi sono diventata un po’ pallosa e prometto che nel fine settimana posterò qualcosa di meno polemico, però qui mi tirano per i capelli. Andate a leggere questa lettera aperta di Barbara Spinelli al direttore de “La Stampa”. Se non fosse per la profonda amarezza del contenuto, che condivido in toto, sarebbe da incorniciare. Leggete, che poi ne parliamo.